L’Altra Mente Festival

L’idea di fare un festival non può prescindere dall’idea di comunità, di persone che lo implicano di contenuti, che lo abitano nei luoghi. I luoghi di un festival non sono mai (e non dovrebbero esserlo) luoghi comuni. Senonché ci sono strati che si sommano, pratiche che si annidano, solidificano, fanno abitudini – tanto le buone che le cattive – e diventano pelle, occhi, mente. L’altra mente secondo noi è una buona abitudine. L’abitudine allo spazio. L’attitudine ad ascoltare. Il gusto dell’astratto. Il gesto minore che va in profondità. La sana illusione di credere alle idee che rivoltano la situazione.

Ci abbiamo messo degli anni ad apprenderlo, da chi ci ha insegnato con l’esempio, e con questo entusiasmo, semplice seppur non esaustivo, vorremmo comunicarlo come fanciulli ingenui e innamorati dell’inizio. «La follia è carne e sangue» – qualcuno dall’altra mente un giorno ci ha detto – «Siamo noi che parliamo di noi stessi e lo sappiamo fare bene». È un linguaggio più complesso, certamente un sentiero meno battuto, ma denso di possibilità appassionanti per ogni mente.

Lo smarrimento: ci riguarda; la paura di essere al mondo: ci riguarda; l’isolamento, la solitudine: ci riguardano; l’innocenza: ci riguarda; la bellezza di una nuova parola: ci riguarda; la diversità: ci riguarda; la creazione: ci riguarda; l’esistenza ci riguarda.

Un deficit, allora, d’improvviso si scopre risorsa.

Fortunatamente non siamo i soli. Molti hanno accolto il nostro invito a partecipare e molti altri si sono dati da fare prima di noi. Il progetto artistico che presentiamo è frutto di un dialogo aperto con enti, istituzioni, associazioni, persone. Abbiamo deciso di formare un comitato organizzativo allargato che ci auguriamo, nel tempo, possa espandersi e diventare un punto di riferimento per la crescita di un progetto stabile e appassionante. Non possiamo più, se vogliamo evolverci come esseri umani e uscire da questo disagio epocale di cui ci siamo vestiti, dimenticare la cultura. La cultura dell’accoglienza, la curiosità per un linguaggio diverso, l’ipotesi di un cambiamento d’assetto, la cura della vicinanza e della periferia; dimenticare la cultura in virtù dei giochi di forza, dei giochi di potere, dei giochi al macello nella mischia. Non possiamo dimenticare la cultura. Perché l’impasse ci sembra solo di ragione economica: la ragione di una regione lontana, che appare impraticabile e incontrovertibile. Invece le cattive abitudini si sono insinuate dentro di noi e sta a noi, a questo punto, progredire collettivamente come comunità umana, o fallire definitivamente come singoli individui. Non c’è successo possibile per chi ha pretese smisurate, è vero. “Successo”, come ci ricorda la lingua italiana, è un participio passato. Quindi per questa neonata creatura non ci auguriamo il successo, ma il succedere che riguarda il presente e il desiderio di viverlo.

 

La società dello spettacolo

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